di Arianna Luci
PTU. 1-6 ottobre 2013. Veloce vibra la voce violando veemente dei vocaboli il vano valore vero. Vento andando nel palato e dentro, canta le corde vocali suonando. Silenziosa la respirazione sospira sussurri, spifferando il soffio sospeso del suono più scuro con l’asciutto suono nasale, sale sopra sino al setto, squilla sottile come insetto, insegue sicuro lo sforzo di non essere sciatto, senza scatto, scandito, sicuro ed esatto. Mentre il maestro mormora meticolosamente il moto tremante di un mantra, il coro accorato con-trae coraggio e continua il contributo crudo crudele curioso di carezza curata alla terracotta costruita, crollata, cresciuta. Rapida articolazione interrompe la rinfusa i refusi di troppi errori od orrori restanti dietro ai denti, tra il diaframma e le narici, migranti rumori intercostali, per riparare il ritmo rotolante di terremoto di parole, come di rosario di terra rovinato e roccioso di Repaci ruvido. Leggera leggiamo, limando le lacune della lingua, la letteratura di Leonida, lucida levatrice di lamenti lontani lasciati in leggenda la licenza della lotta. Allora abbracciamo amaro ancora non abbastanza abbandonata abbondantemente abusata l’abitudine d’abortire l’abitare la Calabria, con i suoi saccenti accenti succeduti eccellenti incidenti dialettali coincidenti.