Piccolo Teatro Unical, 27 ottobre 2012. Una produzione di spazzatura. Lattine vuote e carta straccia riempiono gradatamente l’unico reale protagonista della scena: un cestino dell’immondizia che assume carattere con l’avanzare della lettura. Non è una lettura. Bukowski si divora, si sputa, si rosicchia, si vomita, si cestina. Francesca Gariano, in vestaglia e pigiama, svuota come uno stomaco nauseato Chinaski- Il gemello cattivo del sogno americano, a cura di Francesco Aiello,in scena al PTU. “Uno studio, non uno spettacolo né qualcosa d’altro”. La quarta parete vicinissima, a mezzo metro dalla scenografia, parole per terra risucchiate da una macchina da scrivere, senza il filtro della distanza palco-platea, con sipario chiuso. Il pubblico è scenografia. Partecipa con gli spifferi delle lattine di birra, aperte subito prima o subito dopo una lattina di scena buttata a fine testo, come a doverle vedere per ricordasi di averle lì sul palco, tra cuscini e poesia. Quello che sembrava extra ordinario mezz'ora fa, ora è la vita. Potrebbe durare un’ora, come la notte intera, o un mese, come tutto il tempo. Parole, odore d’alcool, rumore di pioggia. A fine spettacolo scavo nella spazzatura scenica: “E così vorresti fare lo scrittore?” Fai clic qui per effettuare modifiche.
0 Commenti
Laboratorio di danz’attore al PTU a cura di Antonella Ciappetta e Lindo Nudo Di Arianna Luci 28 ottobre 2012,Cosenza, un pomeriggio di pioggia e studio. E Altro. Cosa sta facendo la mano sinistra? Il gomito destro, è troppo alto? E perché il mignolo sinistro non si allunga? Gira quella mano! Non essere pigra!Sii rigida con te stessa! Non essere rigida con il polso. Se fa male, vuol dire che non sei abituata. Non essere pigra! Controlla il suono, Suono, non rumore! Non muoverti in avanti con lo strumento, controlla! Sei tu padrone del tuo corpo. Ogni gesto è psicologico, sai già come andrai a muoverti. Non c’è tempo per lasciarti sorprendere da passaggi che non conosci. Se sei insicura, sporchi tutto. La parte ti domina, non vedi l’ora di arrivare alla fine e non comunichi nulla. Nulla è definito, non senti il ritmo né il senso. Ripeti dieci volte il passaggio, e se all’ultima ti viene impreciso, ricominci da capo. Fin quando non è pulito. Non essere presuntuosa. Senza tecnica non vai da nessuna parte. Come inerpicarsi su una scala a cui mancano i pioli. Scivoli sugli specchi, producendo rumore di graffi mancati. Ripeti, ripetilo ore, ogni giorno. Il metodo. Lo studio della tecnica è metodo. Ripeti. Non essere pigra. Ogni giorno. Ripeti. Sentiti, vediti dall’esterno, registrati se vuoi. Il primo critico di te stessa, devi essere tu. Cura ogni dettaglio, non lasciare nulla al caso. Non essere pigra. Non ci sono vie di mezzo. Percepisci lo spazio attorno a te. Lo sguardo non deve essere fisso, aprilo. Anticipa i movimenti. Bada all’equilibrio della piattaforma. E’ tutto uno spostamento di peso, non essere macchinosa. Non dormire. C’è uno spazio vuoto, corri a riempirlo. Tieni il tempo. Attenta ai rumori. Non uscire, non distrarti. L’equilibrio. Vai , sì, sii decisa! Il fine nobilita i mezzi. Sarebbero solo un coacervo semovente di carne, un pezzo di legno e corde. Il mezzo qualifica il fine. La tecnica, l’esercizio costante e presente, attua la metamorfosi del corpo, del violino, di un qualunque strumento. La tecnica non ha mai fine, non è mai il fine. L’artigianato diventa gradatamente, per calcolata magia, Arte. In teatro, nella danza, come in musica. Cosa sto facendo ora? Come stanno le mie gambe sulla sedia? Che suono produce questa tastiera di PC, a quale velocità, con quale costanza? Gli occhi? Le mani sono fredde? Il laboratorio di teatro-danza, tenutosi al Piccolo Teatro Unical dal 15 al 26 ottobre a cura di Lindo Nudo e Antonella Ciappetta, inserito nella rassegna di attività delle residenze teatrali, sembra l’esatto riassunto degli insegnamenti di anni di conservatorio, applicati ad un solito semi-sconosciuto strumento: il proprio corpo. Partendo dal metodo di Eugenio Barba , allievo di Grotoski, volto ad una consapevolezza dell’espressione fisica in relazione all’altro, il percorso per-seguito è stato uno schiantarsi per terra ripetutamente , fino a rinascere metodicamente dalla propria forma in un’altra. “L’arte è sacrificio. Se non lo è, se non senti lo sforzo fisico, se non ti metti in discussione completamente, allora non stai facendo arte.” Il tema suggerito è ‘le morti sul lavoro’. Ricevi la notizia al telefono che tuo figlio è stato travolto nell’incidente in fabbrica. Sei l’agente che deve comunicarglielo. La tua amica è stata schiacciata dalla piastra degli hamburger al Mc , dov’eri quando lo hai saputo, come ti sei sentita, quanto ti manca. Il corpo inizia a vibrare, la pelle si assottiglia e si gonfia, lo stomaco si fa liquido fino alla gola, gli occhi sanno senza aver visto, la voce trema consapevolmente. Due ore lunghe una vita o più, di qualcun altro. Il palco scenico è un labile foglio di carta poggiato delicatamente su un ago, dove l’attore, esperto funambolo, intreccia con il corpo e la voce storie, sensazioni, percezioni, emozioni. Ti pungi continuamente se sbatti contemporaneamente agli altri all’interno della cruna; ne esci fuori col sudore del gruppo, ci ricadi per esser scivolato distrattamente sul sangue del compagno. Il foglio si piega, tracciato con il piombo dell’individualismo, e crolla il disegno. I corpi sono peli di bue che riscaldano la creatura in gestazione dello spettacolo, affresco sacro nello spazio e nel tempo, sulla tela del pavimento. Non sono macchie gocciolate a casaccio. Anche il più grande Pollock dipingeva d’istinto razionale, prevedibile, ripetitivo. Al massimo macchiati il caffè e non ciondolarti ora, vai a studiare! Peppino Mazzotta al PTU per il lavoro sul suo testo teatrale “Giuseppe Z.” di Arianna Luci "Io ai santi non ci credo, sia chiaro. Sono fatti con lo stampo e dentro sono bacati. Sono di gesso. Ma quella sera questo santo, che ero io, era di carne ossa e sentimenti...un santo così lo puoi credere secondo me... e gli puoi voler bene... e tutto quell'odio me lo figuravo come amore votivo." Ho mal di stomaco e nausea assieme. La nausea di quando smaltisci l'ubriacatura, felice e svuotato per il troppo pieno. Il vino che ho bevuto fino all'ultimo goccio è quello mesciuto da Peppino Mazzotta per il laboratorio "L'attore drammaturgo di sé" tenutosi al PTU dal 23 al 30 settembre, inserito nella rassegna di attività delle residenze teatrali. Ho il copione nello stomaco, è per questo che fa male forse. Giuseppe Zangara, il protagonista del testo, di Peppino Mazzotta, da un’idea di Giovanni Sole, d'altra parte, non è un boccone che si digerisce al primo colpo. Una sorta di creatura a metà strada tra un latente genio sofferente di cistifellea e un curioso folletto demoniaco, mosso da un immanente bisogno di giustizia ancestrale pre-anarchico(?), o semplicemente il suo malessere fisico, è il calabrese di Ferruzzano che ebbe tra le mani, per un istante, il potenziale di stravolgere la storia d'Occidente, cercando di attentare al presidente neoeletto degli USA Roosevelt nel 1933. Il corpo è una galera dove si sconta la colpa ontologica di esistere. Si pensa di evadere rifugiandosi nel proprio personaggio quotidiano. Trascurando gli infiniti specchi da scoprire dietro le nostre spalle, orecchie, mani, ginocchia. "Bisogna starci dentro. La comunicazione che vuoi far passare la decidi tu. L'importante è pensare sempre al punto d'arrivo; pure due pagine possono essere una risposta secca. Perché ogni personaggio é/ha un ritmo, subordinato a quello del ruolo." Il piccolo mastodontico Peppino passa a tutti i partecipanti delle lime per segare le sbarre del carcere psico-fisico ed evadere in Giuseppe Z., nel compagno s/forzato di cella Grandinetti, piuttosto che nella bomba inesplosa Dixie, nello stanco agente, o ancora, nei due battibeccanti testimoni dell'accaduto; sta al singolo attore imparare da quale verso utilizzarle. Si muore sempre troppo presto per capirlo. Ma non bisogna temere ciò; altrimenti morto diventa il tempo, riempito con pleonasmi gestuali incomprensibili. E allora la comunicazione diventa confusa, si blocca. Al massimo, il tempo si può rubare: "Devi pensare solo che sei stanco. Il tuo unico obiettivo è bere sto cazzo di caffè e fumare una sigaretta. Tutto il resto c'è, ma non te ne frega nulla. Devi arrivare alla fine, pensando che questa scena non c’è. Tempo rubato, ecco." Il mal di stomaco. Tutto il resto c'è, ma non te ne frega niente, uccidere il presidente, il capitalismo, e blablà. L'idea si fa meccanismo, e ti ritrovi con un mal di stomaco che da empatico si fa patetico e poi spasmodico. “Nulla di mistico, il teatro. Basta solo individuare di volta in volta la chiave per farlo funzionare, un meccanismo appunto.” « Avanti, premi il bottone! » n.b. le parti virgolettate alla francese sono tratte dal testo ‘Giuseppe Z.’ |
Este-sia!
Uno spettacolo non si può raccontare. Ogni tentativo di descrizione in parole è un colpo incosciente di scalpello, con la lama affilata dell'oggettività, su di una scultura non finita. Uno spettacolo si può solo vivere, sentendolo con le orecchie, le mani, gli occhi, il respiro, i piedi, la schiena, le spalle, il palato, la testa, la vagina, il fallo, il cuore, lo stomaco. Questo blog è un po' un armadio dove appendere i costumi quotidiani che anestetizzano le emozioni; senza scheletri né cassetti pieni sogni metafisici. Pronto/a? Mi SENTI? Archives
Aprile 2014
Categories
Tutto
|